La tecnologia avanza a passi da gigante, ma la protezione dei dati personali dovrebbe rimanere una priorità assoluta.
Chiunque possieda uno smartphone, negli ultimi anni, si è trovato di fronte a una situazione abbastanza inquietante: pochi minuti dopo aver parlato di un certo prodotto (senza neanche averlo cercato online), quello stesso prodotto compare in una pubblicità di un sito che si visita. Questa situazione ha dato vita a una serie di teorie complottiste secondo le quali gli smartphone sarebbero in grado di ascoltare continuamente le nostre conversazioni grazie ai loro microfoni.
Se per molto tempo abbiamo pensato che si trattasse, appunto, di teorie strampalate elaborate da persone particolarmente inclini al complottismo, sempre più episodi fanno pensare che qualcosa di vero, in fondo, ci sia. Diverse aziende hanno rivelato che i microfoni degli smartphone sono in grado di ascoltare in ogni momento della giornata, ma che solo quando viene chiesto dall’utente elaborano davvero le parole che ascoltano. Di questo, però, noi semplici utenti non possiamo fare altro che fidarci, senza avere nessun riscontro concreto che sia davvero così.
Un nuovo caso conferma i sospetti degli utenti
L’ultima a finire al centro di questa controversia è stata la società MindSift, con sede nel New Hampshire. Secondo quanto emerso da una revisione di sezioni (oggi rimosse) dal loro sito web e commenti fatti in un podcast scoperto da 404 Media, MindSift sarebbe parte di un una serie di compagnie che hanno lo scopo di indirizzare annunci pubblicitari mirati ascoltando le conversazioni quotidiane delle persone attraverso i microfoni dei loro dispositivi.
Queste rivelazioni hanno scatenato un acceso dibattito sulla privacy e sull’etica nel settore tecnologico. Andy Galeshahi, uno dei co-fondatori di MindSift, in un episodio del podcast “Real Business Roundtable”, ha descritto nel dettaglio come la tecnologia della sua azienda sfrutti i dati raccolti dai microfoni per fornire annunci pubblicitari mirati. Questa dichiarazione, insieme ad altre informazioni divulgate, fornisce la prova più chiara fino ad ora che alcune aziende hanno effettivamente superato il limite dell’ascolto dell’audio ambientale per finalità pubblicitarie.
La vicenda mette in luce la necessità di una maggiore trasparenza e regolamentazione nel settore della raccolta dati. I consumatori hanno il diritto di sapere come vengono utilizzati i loro dati e di avere il controllo su di essi. La testimonianza della compagnia non solo conferma i sospetti di molti ma apre anche un dibattito più ampio sulle implicazioni etiche e legali dell’uso della tecnologia nella nostra quotidianità.