Lui è il cantante del gruppo dei Nine Inch Nails, ma anche direttore operativo di Apple Music: Trent Reznor attacca Youtube senza troppi giri di parole, accusando il portale di vivere di contenuti rubati. Secondo l’artista, al quale si sono unite tantissime altre voci, il servizio video di Google si baserebbe su un modello di Business che sfrutterebbe il lavoro degli altri per la propria redditività. Il Leader della rock band, durante l’appena conclusosi WWDC 2016 di Apple, ha infierito contro la piattaforma di San Bruno, ma anche contro Spotify.
Lui è un artista e come lui tanti altri sono stanchi delle speculazioni sul proprio lavoro. Al WWDC 2016, Trent Reznor ha così parlato di Youtube (e indirettamente anche di Spotify):
Si basa su contenuti gratuiti e rubati: solo in questo modo ha potuto diventare così grande. Penso che tutti i servizi che prevedono una modalità free siano iniqui, perché il loro vero obiettivo è raccogliere grandi numeri per essere quotati in borsa, il tutto sfruttando il lavoro dei miei colleghi artisti.
La risposta della piattaforma guidata da Susan Wojcicki è arrivata quasi subito: tramite un portavoce, l’azienda ha fatto sapere che sono le stesse case discografiche e gli editori che stringono degli accordi per consentire agli utenti di caricare contenuti, quindi tutto il materiale presente sul portale possiede regolari licenze, al contrario di quanto si vuole far credere. Uno degli ultimi ad aver lottato contro la pubblicazione di contenuti illeciti sul portale di Google era stato Prince: sono stati moltissimi infatti gli utenti che non sono riusciti a pubblicare suoi video dopo la prematura scomparsa dell’artista di qualche mese fa.
Il batterista dei The Black Keys ha cinguettato su Twitter che se avesse 5 minuti a disposizione, molto probabilmente troverebbe su Youtube almeno 250 canzoni per le quali gli autori non vengono pagati. Carney, sulla scia di quanto detto da Trent Reznor, si è schierato contro la speculazione dei progetti altrui e in favore di una retribuzione equa. Nonostante Youtube abbia rimandato le colpe direttamente alle case discografiche, non si placano le polemiche tra la piattaforma e numerosi artisti. Il batterista ha spiegato metaforicamente che una canzone dovrebbe essere pagata quanto un avocado, almeno fino a quando gli utenti non scopriranno un frutto simile nella qualità e nel valore.
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